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DECRETO DIGNITÀ: LE NOVITÀ IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO

A cura della dott.ssa Cristina Gatto.

Il Decreto Dignità è entrato in vigore il 12 agosto 2018. Ecco le principali novità in materia di diritto del lavoro:

CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

Il contratto di lavoro a termine può essere stipulato, senza causale, con una durata massima di 12 mesi oppure, con causale, con una durata massima di 24 mesi. Il numero massimo di proroghe ammesse è di 4. In caso del rinnovo del contratto, quest’ultimo dovrà sempre prevedere una causale.

PERIODO TRANSITORIO: fino al 31/10/2018 sono ammesse proroghe e rinnovi senza causale per tutti i contratti a termine in corso.

ESONERO CONTRIBUTIVO PER FAVORIRE L’OCCUPAZIONE GIOVANILE

Viene esteso per gli anni 2019 – 2020 l’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato di soggetti fino a 35  anni di età. Condizione per accedere all’esonero è che il lavoratore non sia mai stato occupato a tempo indeterminato. L’esonero contributivo per l’azienda è pari al 50% dei contributi previdenziali c/ditta, per 36 mesi, con un massimale di 3.000 euro annui.

PRESTAZIONI OCCASIONALI (ex voucher)

In deroga al principio generale che vede le prestazioni occasionali non fruibili da parte dei committenti che impiegano più di 5 lavoratori a tempo indeterminato, per  le aziende alberghiere e strutture ricettive del settore turismo il limite viene elevato a 8 dipendenti a tempo indeterminato a condizione che la prestazione sia svolta da: pensionati, giovani studenti con meno di 25 anni di età, disoccupati oppure percettori di prestazioni a sostegno del reddito. In questi casi sarà sufficiente indicare la data di inizio prestazione e il montante orario complessivo presunto, con riferimento ad un arco temporale a dieci giorni.

SOMMINISTRAZIONE  DI LAVORO A TERMINE

Salvo diverse previsioni del CCNL, il numero massimo di lavoratori somministrati a termine e di lavoratori con contratto a tempo determinato, non può eccedere complessivamente il 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di stipula dei predetti contratti.

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I contratti FIDIC alla luce degli obblighi BIM in ambito PPPs

A cura dell’avv. Marco Masante | Diritto dei contratti.

Oggetto della relazione

La presente relazione viene resa nell’ambito delle necessità di aggiornamento per i tecnici (ingegneri e/o architetti), per cui è necessario essere competenti nella gestione dei contratti e delle varianti, affinché possano eseguire un’analisi dei ritardi in conformità con le norme internazionali consolidate, divenuta urgente tra i più importanti General Contractor in Italia e all’estero. Per tali Professionisti è d’obbligo conoscere i principi fondamentali del diritto civile e comunitario, nonché dell’arbitrato internazionale, unitamente alle più comuni norme per i contratti internazionali (FIDIC, JCT, NEC, AAA), e alle molte questioni legate alla gestione delle varianti di costruzione. In particolare in ambito FIDIC la possibilità di partecipare a costruzioni derivanti da un partenariato pubblico-privato, per i quali la normativa comune si sta allineando nel rendere obbligatoria la misurazione anche attraverso software BIM rende opportuna la presente riflessione.

Il punto sul rapporto tra PPPs e FIDIC

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) definisce i partenariati  pubblico-privato (PPP) come accordi contrattuali a lungo termine tra il governo e un partner privato, in base ai quali quest’ultimo presta e finanzia servizi pubblici utilizzando un capitale fisso e condividendo i rischi associati. Quest’ampia definizione mostra che i PPP possono essere progettati per realizzare una vasta gamma di obiettivi in vari settori, come i trasporti, l’edilizia sociale e l’assistenza sanitaria, e possono essere strutturati secondo approcci differenti.

Per natura e risultati, i PPP non sono diversi dai progetti appaltati tradizionalmente; vi sono però alcune differenze nella gestione dei progetti e dei contratti. La differenza principale tra PPP e progetti tradizionali è la condivisione dei rischi tra il partner pubblico e quello privato. In linea di principio, i rischi di un progetto PPP dovrebbero essere attribuiti alla parte più adatta a gestirli, allo scopo di realizzare un equilibrio ottimale fra trasferimento dei rischi e compensazione per la parte che li sostiene. Il partner privato è spesso responsabile per i rischi connessi a progettazione, costruzione, finanziamento, funzionamento e manutenzione dell’infrastruttura, mentre il partner pubblico si assume normalmente i rischi di regolamentazione e quelli politici.

Il Team Consultivo della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD Procurement Policy and Advisory Team) ha partecipato attivamente affinché la contrattualistica privatistica (principalmente i FIDIC) fosse adattata ai rischi connessi alle responsabilità della parte pubblica. Senza ambizione di esaustività, i principali correttivi richiesti dal Team EBRD sono relativi alla esclusione di importi a forfait, in acconto o a saldo e stralcio (che appesantirebbero a livello finanziario contractors e subcontractors), introducendo delle no lumpsum rules. Allo stesso modo le particular conditions dovrebbero prevedere delle clausole di garanzia per i ritardi del committente, anche quando causati dalla parte pubblica, facendo salvi i costi fissi e quelli variabili generati dalla struttura locale (pay the bill rule). Ulteriormente dovrebbero essere contenute le clausole a sfavore finanziario o economico del cliente, ad esempio riducendo significativamente gli advance payment a carico del contractor.

L’importanza dei software BIM in ambito FIDIC

L’utilizzo di software di Building Information Modeling (BIM) ha recentemente ottenuto una vasta attenzione nel settore architettonico, ingegneristico e delle costruzioni (AEC). Il BIM rappresenta lo sviluppo e l’uso di modelli pluridimensionali generati dal computer per simulare la pianificazione, la progettazione, la costruzione e il funzionamento di una struttura. È una soluzione utile ad architetti, ingegneri e costruttori per visualizzare ciò che deve essere costruito in un ambiente simulato e ad identificare potenziali problemi di progettazione, costruzione o operativi. Ad esempio nel seminario sulla versione 2017 di alcuni FIDIC, svoltosi a Milano, è stato presentato il caso di studio del progetto dell’Acquario della Georgia per illustrare quantitativamente i risparmi in termini di costi e tempi realizzati sviluppando e utilizzando un modello di informazione sugli edifici. Sono stati illustrati i principali benefici e rischi per le parti FIDIC nei progetti di costruzione: posto che il software è stato in precedenza utilizzato anche per determinare i risparmi BIM netti e il ritorno sull’investimento del BIM, nell’implementarlo come ulteriore strumento di misura deve essere considerato il relativo impegno e la limitata duttilità di un software pensato per apportare/prevedere varianti in tempo reale, da adattare e rendere aderente alle necessità di certificazione e misurazione degli strumenti di approvazione FIDIC, valutando gli ulteriori mezzi di riscontro che la parte FIDIC interessata (Ingegnere, Committente o DABs) potrebbe richiedere.

Restando a disposizione per qualsiasi richiesta di approfondimento specifico, Vi invito a scrivermi a: marco.masante@occari-garbo.it.

 

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Decreto Dignità: le novità fiscali più rilevanti

A cura del dott. Alberto Neri.

Dopo l’approvazione in Senato lo scorso 7 agosto 2018, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 96 del 9 agosto 2018 di conversione del D.L. n. 87/2018 c.d. Decreto Dignità. Si riportano le novità fiscali più rilevanti.

RECUPERO IPER AMMORTAMENTO – Art. 7

Relativamente all’iper ammortamento, ossia alla maggiorazione del 150% del costo di acquisizione di beni strumentali nuovi individuati dalla Tabella A, Finanziaria 2017, è confermato che:

– la spettanza dell’agevolazione è subordinata alla condizione che i beni agevolabili siano destinati a strutture produttive situate in Italia;

– la cessione/destinazione dei beni agevolati a strutture produttive situate all’estero (delocalizzazione), ancorché appartenenti alla stessa impresa, determina il disconoscimento dell’agevolazione corrispondente alle maggiorazioni delle quote di ammortamento complessivamente dedotte in precedenza (senza sanzioni / interessi).

Le predette disposizioni trovano applicazione per gli investimenti effettuati successivamente al 14.7.2018 (data di entrata in vigore del Decreto in esame).

È confermato inoltre che il disconoscimento dell’agevolazione, con conseguente recupero del beneficio, non trova applicazione con riferimento agli interventi sostitutivi di cui all’art. 1, commi 35 e 36, Finanziaria 2018, in base ai quali in caso di dismissione del bene agevolato nel periodo di fruizione della maggiorazione in esame non si verifica la perdita delle residue quote del beneficio a condizione che, nello stesso periodo di realizzo, l’impresa:

– sostituisca il bene originario con un bene strumentale nuovo con caratteristiche tecnologiche, analoghe o superiori a quelle previste dalla citata Tabella A;

– attesti l’effettuazione dell’investimento sostitutivo, le caratteristiche del nuovo bene e il requisito dell’interconnessione.

Nel caso in cui siano rispettate le predette condizioni e il costo di acquisizione dell’investimento sostitutivo sia inferiore al costo del bene originario, la fruizione del beneficio continua relativamente alle quote residue fino a concorrenza del costo del nuovo investimento.

In sede di conversione è stato aggiunto che l’agevolazione non è disconosciuta altresì qualora i beni agevolati siano per loro natura destinati ad essere utilizzati in più sedi produttive e, pertanto, possano essere oggetto di temporaneo utilizzo anche all’estero.

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SPESOMETRO – Art. 11, commi 1, 2, 2-ter e 2-quater

TERMINI DI INVIO

I dati delle fatture emesse – ricevute – bollette doganali – note di variazione, c.d. “spesometro”, previsto dall’art. 21, DL n. 78/2010 devono essere trasmessi all’Agenzia delle Entrate in via telematica entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo ad ogni trimestre.

È confermato al 28.2.2019 (anziché 30.11.2018) il termine per l’invio relativo al terzo trimestre 2018.

Inoltre, relativamente alla facoltà prevista dall’art. 1-ter, comma 2, lett. a), DL n. 148/2017 di trasmettere i dati con cadenza semestrale, sono confermate le “nuove” scadenze:

– del 30.9 per l’invio dei dati relativi al primo semestre;

– del 28.2 per l’invio dei dati del secondo semestre.

Alla luce di tali novità, per il 2018, il calendario dello spesometro è così individuato.

Spesometro   Termine presentazione
1 trimestre 2018 31.5.2018
2 trimestre 2018 1.10.2018 (il 30.9 cade di domenica)
1 semestre 2018 (per scelta)
3 trimestre 2018 28.2.2019
4 trimestre 2018
2 semestre 2018 (per scelta)

 

RINVIO FATTURA ELETTRONICA DISTRIBUTORI STRADALI DI CARBURANTE – Art. 11-bis 

In sede di conversione è stato “recepito” il contenuto del DL n. 79/2018 (che pertanto non sarà convertito) che dispone il differimento all’1.1.2019 della decorrenza dell’obbligo della fattura elettronica (soltanto) per le cessioni di carburante (benzina / gasolio) per autotrazione presso gli impianti stradali di distribuzione.

Fino al 31.12.2018 è quindi possibile continuare ad utilizzare la carta carburante, nel rispetto però dell’obbligo di effettuare i pagamenti con mezzi tracciabili dall’1.7.2018.

SPLIT PAYMENT – Art. 12

È confermata l’introduzione del nuovo comma 1-sexies all’art. 17-ter, DPR n. 633/72 in base al quale lo split payment non trova applicazione relativamente ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’acconto / d’imposta ex art. 25, DPR n. 600/73.

Di fatto la nuova disposizione “ripristinal’esonero dallo split payment per le fatture emesse da parte dei lavoratori autonomi.

La novità in esame è applicabile alle fatture emesse successivamente al 14.7.2018 (data entrata in vigore del Decreto in esame).

Per le fatture emesse fino al 14.7.2018 lo split payment continua ad applicarsi ancorché a tale data non sia stata pagata la fattura.

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MODIFICHE DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

A cura della dott.ssa Katia Garbo.

Il 9 agosto 2018 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge di conversione del Decreto Dignità (D.L. 12 luglio 2018, n. 87).

Qui di seguito uno schema semplificato delle modifiche apportate al contratto a tempo determinato.

 

La legge di conversione n. 96/2018 ha introdotto un periodo transitorio che terminerà il 31 ottobre 2018. Fino a tale data rinnovi e proroghe potranno essere effettuati secondo la disciplina previgente dettata dal Dlgs. n. 81/2015.

 

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Investire all’estero. Modalità e criteri per una efficiente realizzazione di un progetto

A cura del dott. Diego Occari.

Il processo di internazionalizzazione può avvenire in modo più o meno ordinato, non esiste una metodologia di approccio unica. Si può approcciare ai mercati in modo reattivo in conseguenza di una domanda o di una esigenza proveniente dall’estero, piuttosto che in modo proattivo, al fine di coglierne opportunità pianificate.

Tuttavia, in letteratura, si tende a razionalizzare l’internazionalizzazione secondo un approccio detto “sequenziale”, che si sviluppa per fasi successive all’interno di ciascuna delle quali una impresa cambia il proprio approccio al mercato. Di norma, secondo l’approccio sequenziale, si distinguono le seguenti fasi:

  • FASE 1: accesso al mercato estero;
  • FASE 2: assestamento della presenza sull’estero;
  • FASE 3: sviluppo della competitività;
  • FASE 4: consolidamento della presenza estera.

Nella prima fase dell’evoluzione internazionale, l’impresa avvia il contatto iniziale con il mercato estero.

La FASE 1 (accesso al mercato estero) è caratterizzata da una fase di studio del mercato estero e da limitate esportazioni, principalmente finalizzate a smaltire il surplus di produzione interno. Si tratta di una fase in cui le esportazioni pesano poco rispetto al fatturato interno. Anche l’organizzazione aziendale e le procedure interne non sono ancora adattate ad una struttura internazionale (manca di solito in questa fase un ufficio estero e le vendite vengono gestite dalla stessa funzione commerciale che si occupa delle vendite nazionali).

Le principali iniziative internazionali attengono in questa fase alle fiere estere, all’avvio di rapporti di agenzia e distribuzione. L’impresa cerca di sopperire, in questa fase, all’eventuale mancanza di competenze interne attraverso diverse forme di collaborazione con soggetti esterni (nel cui ambito può collocarsi il supporto di un temporary export manager accreditato al MISE, come lo Studio Occari & Garbo, oppure la piattaforma di cooperazione internazionale del Prime Advisory Network).

La FASE 2 (assestamento della presenza sull’estero) è di solito la fase in cui una impresa adegua la propria organizzazione alla presenza sui mercati esteri, riorganizzando il proprio organigramma interno e la ripartizione efficiente delle competenze, anche integrando il proprio organico con più adeguate professionalità. Di norma, in questa fase, aumenta il livello degli investimenti destinati alle attività internazionali.

Nella FASE 3 (sviluppo della competitività) l’azienda, ormai organizzata per accedere ai mercati internazionali, effettua investimenti per l’accesso a nuovi mercati ed aumentare la propria presenza all’estero. L’impresa che si trova in questa fase vede l’internazionalizzazione una parte integrante e primaria della sua pianificazione strategica ed operativa, ma non ha ancora consolidato il proprio assetto internazionale, specialmente per quanto attiene alle reti di distribuzione ed alle controllate estere, che non sono ancora ben organizzate nei rapporti reciproci.

Nella FASE 4 (consolidamento della presenza estera) l’impresa razionalizza tutte le attività ed i rapporti con l’estero, massimizzando i vantaggi della operatività su più mercati, ottimizzando la struttura dei costi di produzione ed i vantaggi competitivi. Si riorganizza in questa fase la catena del valore tra i diversi business aziendali.

Lo Studio Occari & Garbo, con i suoi specialisti di internazionalizzazione si propone per assistere le imprese che intendono avviare un processo di internazionalizzazione attraverso le diverse fasi che tale attività comporta nella vita di una impresa.

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Tracciabilità delle retribuzioni

A cura della dott.ssa Katia Garbo

Le prime applicazioni degli obblighi di tracciabilità delle retribuzioni, introdotti dalla legge 205/2017 e in vigore dal 1° luglio 2018, stanno creando molti dubbi tra gli operatori.

Secondo quanto precisa la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro con approfondimento del 3 agosto 2018 restano esclusi dall’obbligo di tracciabilità delle retribuzioni, così come specificato dal comma 913 dell’art.1 della Legge n. 205/2017, i rapporti di lavoro:

  • instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 165/2001;
  • domestico, rientranti nella Legge n. 339/1958, nonché quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei CCNL per addetti ai servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale;
  • i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale, poiché non rientranti tra i contratti espressamente riconducibili a quelli richiamati al comma 912 dell’art.1 della Legge n. 205/2017.

Tra le criticità ci sono i rimborsi spese e le indennità di trasferta.

Secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro gli anticipi di cassa effettuati per spese che i lavoratori devono sostenere nell’interesse dell’azienda e nell’esecuzione della prestazione (rimborso spese viaggio, vitto, alloggio) restano esclusi dall’obbligo di tracciabilità.

Invece per le indennità di trasferta, posta la loro natura mista, si ritiene necessario ricomprendere tali somme negli obblighi di tracciabilità.

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Pianificare un progetto di internazionalizzazione: offerta; mercato e struttura.

A cura del dott. Diego Occari.

Il processo di internazionalizzazione è l’insieme di attività mediante le quali una organizzazione aziendale viene ad aprirsi ai mercati esteri, allo scopo o di delocalizzare i costi di produzione, ottimizzando l’efficienza dei propri processi ottenendone economie, oppure allo scopo di aumentare le proprie esportazioni.

In tal senso, pianificare un processo di internazionalizzazione, significa ridefinire la mission aziendale, le strategie e gli obiettivo al fine di espandere su uno o più paesi esteri le proprie attività di produzione e di vendita di beni e servizi.

Pianificare un processo di internazionalizzazione significa anzitutto studiare l’azienda ed i mercati, per valutare i costi e i benefici delle soluzioni possibili di avvio di una attività all’estero, per poi definire la strategia da seguire.

Di regola alla base di un progetto di internazionalizzazione vi è una approfondita attività di analisi del c.d. “sistema di offerta”, del target di mercato e della struttura della azienda con cui si intende attuare l’internazionalizzazione.

L’analisi del sistema di offerta consiste sia nella analisi delle caratteristiche dei prodotti o dei servizi da vendere sull’estero, e tiene conto delle relative caratteristiche di immagine, qualità e di prezzo sia nella analisi del cliente obiettivo e delle sue abitudini. All’interno della fase di studio del sistema di offerta si definirà il marketing mix con cui affrontare il pianificato processo di internazionalizzazione.

Ultimata l’analisi del sistema d’offerta, assume rilevanza primaria l’analisi del contesto di mercato e la fase di scelta del mercato target.

L’analisi del mercato, in particolare, deve svolgersi con l’obiettivo di acquisire informazioni non solo riguardo alla stabilità politica, ma anche in termini di politica fiscale, al mercato del lavoro ed agli elementi di valutazione del Rischio-Paese. Rilevano in tale fase anche le valutazioni di scenario sui dati economici del Paese in termini di tassi di crescita economica, tassi di interesse e di cambio, nonché tassi di inflazione; nonché i fattori sociali e culturali, quali la lingua e la religione. Tali specifiche caratteristiche di mercato rappresentano spesso variabili che condizionano le possibilità di successo di un processo di internazionalizzazione.

Per realizzare con successo un processo di internazionalizzazione è quasi sempre di estrema importanza capire quale direzione stia prendendo un mercato target in cui si intende investire.

Le informazioni sui mercati target sono spesso disponibili e possono quindi essere acquisite con facilità mediante internet, grazie ai siti istituzionali messi a disposizione dalla Farnesina (servizio InfoMercatiEsteri), oppure grazie al sito dell’ICE. In tali siti internet sono ottenibili informazioni su tutti i principali elementi da valutare di un mercato, dall’outlook economico e politico, alle opportunità di mercato, ai costi operativi medi per un investimento in tale paese.

La terza fase di un processo di pianificazione di una internazionalizzazione deve riguardare infine la struttura aziendale con cui si intende gestire una iniziativa. Rientrano in questa fase la stima degli investimenti da effettuare, l’organizzazione di personale da dedicare, la scelta di eventuali partners (nel cui ambito può ad esempio collocarsi il supporto di un temporary export manager accreditato al Ministero dello Sviluppo Economico, come lo Studio Occari & Garbo, oppure una piattaforma di cooperazione internazionale, come quella del Prime Advisory Network).

La struttura dell’offerta, il dimensionamento della struttura aziendale ed il mercato target devono essere tra di loro tempo per tempo rivalutati periodicamente, in una logica di adattamento circolare, necessario a consentire il successo di una pianificata iniziativa di internazionalizzazione.

Lo Studio Occari & Garbo, con i suoi specialisti di internazionalizzazione resta a disposizione per supportare processi di avvio e strutturazione di attività all’estero.

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Responsabilità patrimoniale del socio per la società a responsabilità limitata

A cura dell’avv. Marco Masante

Le società a responsabilità limitata rispondono delle obbligazioni sociali esclusivamente con il proprio patrimonio[1].

I creditori sociali, in caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, non potranno chiedere l’escussione dei beni di proprietà personale dei singoli soci.

Tale principio non ha carattere assoluto. Ad esempio, sebbene le società a responsabilità limitata abbiano “un’autonomia patrimoniale c.d perfetta”[2]per cui il patrimonio delle società a responsabilità limitata è autonomo e distinto rispetto a quello dei soci e dell’amministratore. Tuttavia vi sono alcune eccezioni a tale principio generale e, nel contesto della disciplina legislativa della s.r.l., una delle disposizioni più importanti è l’art. 2476 c.c.[3]In tale ambito, con precipuo riferimento alla responsabilità degli amministratori nei confronti della società, il comma 1 dell’art. 2476 c.c. dispone che “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società”. Pertanto vi sono dei casi in cui gli amministratori rispondono dei debiti contratti dalla società che amministrano: in tali casi la responsabilità degli amministratori nei confronti della società ha dunque natura contrattuale, solidale e per colpa. Un ulteriore esempio è derivante dall’entrata in vigore della recente normativa nota come “GDPR” in ambito di protezione dei dati e privacy.

Agli amministratori di una s.r.l. è infatti affidata la gestione della società e sono tenuti ad adempire ai doveri stabiliti da qualsiasi norma di legge. In caso di un’inadempienza tale da determinare la produzione di danni, il loro comportamento potrebbe costituire fonte di responsabilità nei confronti della società, dei singoli soci e dei terzi e, in relazione alla citata normativa la responsabilità è oggettiva, in quanto derivante da una attività pericolosa quale il trattamento dei dati.

Gli amministratori, indipendentemente dal sistema di governance adottatodalla società, sono responsabili nei confronti:

– della società, per i danni derivanti dalla violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto;

– dei singoli soci e i terzi, per i danni direttamente causati a questi ultimi da una loro condotta dolosa o colposa;

– dei creditori, per l’inosservanza dei doveri inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

Ai sensi del comma settimo dell’art. 2476 c.c., la responsabilità degli amministratori si estende ai “soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”.

Secondo la Relazione ministeriale al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, si tratta di “responsabilità solidale con gli amministratori dei soci che intenzionalmente hanno contribuito al compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. Si tiene in tal modo conto delle caratteristiche del tipo societario in questione e della circostanza che nella concreta realtà in esso molto spesso l’effettivo potere di amministrazione non corrisponde all’assunzione della relativa veste formale e che, pertanto, la mancata assunzione della prima non può divenire un facile strumento per eludere la responsabilità che deve incombere su chi la società effettivamente gestisce”.

Primo requisito affinché i soci siano ritenuti responsabili ai sensi del comma settimo dell’art. 2476 c.c. è la responsabilità concorrente degli amministratori, ossia che gli amministratori abbiano posto in essere, su decisione o autorizzazione dei soci, un atto contrario ai doveri ad essi imposti dallo statuto e/o dalla legge.

Il secondo, implicito, requisito è che i soci in questione non siano amministratori della società, dal momento che, in tale ultimo caso, si dovrebbero applicare le regole in tema di responsabilità degli amministratori.

È altresì necessario che i soci in questione abbiano “intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”: ovvero, la responsabilità in esame può sorgere nel caso in cui, come sopra anticipato, in virtù di apposita clausola statutaria o dell’intervento degli amministratori o di una minoranza qualificata di soci, la competenza dell’atto pregiudizievole sia stata attribuita alla decisione dei soci o nel caso in cui i soci si siano limitati ad autorizzare il compimento dell’atto[4].

Al fine di esperire l’azione di responsabilità nei confronti dei soci, è altresì necessario che ricorrano le seguenti condizioni, ossia: la corrispondenza tra quanto deciso o autorizzato dai soci e quanto compiuto dagli amministratori, un danno alla società e/o ai soci e/o ai terzi e un nesso di causalità tra il comportamento degli amministratori tenuto in conformità alla decisione o autorizzazione dei soci e il danno cagionato.

È necessario rilevare come la responsabilità in questione sia qualificabile come responsabilità illimitata: in altri termini, “i quotisti di S.r.l. sono tutelati contro il rischio di impresa dalla previsione generale di responsabilità limitata. Se essi assumono anche la funzione di gestori, alla responsabilità limitata si aggiunge una responsabilità illimitata per gli atti posti in essere come gestori”[5].

Questa previsione si pone in deroga al generale principio della responsabilità limitata del socio, che, ricordiamo, è la caratteristica cardine della S.r.l.

L’azione per far valere la relativa responsabilità compete alla società, ai soci, ai terzi ed ai creditori sociali[6].

Da ultimo si vuole porre l’attenzione su un particolare aspetto della tassazione applicabile alle S.r.l a ristretta base proprietaria, il cui volume di ricavi non superi le soglie previste per l’applicazione degli studi di settore e partecipate da persone fisiche il cui numero non sia superiore a 10[7]: la c.d. tassazione per trasparenza. La trasparenza fiscale è disciplinata dagli artt. 115 e 116 del TUIR che corrispondono rispettivamente alla grande ed alla piccola trasparenza fiscale. La grande trasparenza è riferita alla trasparenza fiscale di una società di capitali partecipata da altre società di capitali, la piccola trasparenza invece è riferita alle Srl a ristretta base azionaria partecipate da persone fisiche. Tale tassazione risponde alla logica della assimilazione del regime impositivo a quello delle società di persone.

Applicando il regime della tassazione per trasparenza il reddito prodotto dalla società partecipata determinato con le modalità ordinarie non viene tassato direttamente in capo alla stessa, ma viene attribuito in percentuale a ciascun partecipante a prescindere dall’effettiva percezione.

Optando per tale regime:

  • in capo alla società non si verifica alcuna tassazione Ires in quanto il reddito è assoggettato a tassazione in capo ai soci;
  • i soci dovranno dichiarare il reddito di propria spettanza anche se non è stato effettivamente percepito.

In ordine alla scelta di tale regime, le società potranno valutare in ogni esercizio la convenienza sull’applicabilità o meno della tassazione per trasparenza, nonostante la formale irrevocabilità dell’opzione per il triennio; infatti, qualora la società ponesse in essere comportamenti incompatibili con il mantenimento del regime l’effetto dell’opzione verrebbe meno fin dall’inizio dell’esercizio senza conseguenze sostanziali penalizzanti[8].

[1]Art. 2462 c.c.: Nella società a responsabilità limitataper le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intera partecipazione è appartenuta ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall’articolo 2464, o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’articolo 2470.

[2]Nella società di persone (società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice) al contrario, si parla di autonomia patrimoniale imperfetta in quanto il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, sia pur distinto da quello societario, può essere aggredito dai creditori sociali nel momento in cui il credito verso la società non sia stato soddisfatto dalla escussione dei beni sociali.

[3]2476 c.c.: Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso. I soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali [22612320] ed i documenti relativi all’amministrazione. L’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.

[4]E. Leto, La responsabilità degli amministratori di s.r.l, in Riv. dottori comm.,4/2010, p. 777.

[5]V. Sangiovanni, La responsabilità degli amministratori di S.r.l. verso la società, in Contratto e impresa,2007, 705

[6]O. Cagnasso, Commento ad art. 2476 c.c., in AA.VV., in Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 1891.

[7]Non superiore a 20 in caso di cooperativa a r.l.

[8]L. Salvini, La tassazione per trasparenza, in Rass. Trib., 5/2003, p. 1504 ss.

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La responsabilità del socio per i crediti della S.R.L cessata

A cura dell’avv. Marco Masante

La riforma del diritto societario, attuata dal D. Lgs. n. 6 del 2003, è intervenuta anche sulla normativa relativa all’estinzione delle società di capitali. Il legislatore ha quindi introdotto l’art 2495 c.c., in sostituzione dell’art. 2496 c.c., causando però nel corso degli anni numerosi dibattiti sul tema.

Prima dell’entrata in vigore della riforma, l’art. 2456 secondo comma c.c. prevedeva che a seguito della cancellazione di una società dal Registro delle imprese i creditori sociali non soddisfatti potessero “far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento(…)” fosse “(…) dipeso da colpa di questi”.

La giurisprudenza maggioritaria attribuiva all’atto formale di cancellazione efficacia meramente “dichiarativa di pubblicità”, con la conseguenza che l’eventuale sussistenza di rapporti giuridici, nonché la pendenza di controversie giudiziali con i terzi, ne precludesse l’estinzione[1]; inoltre la capacità giuridica processuale e sostanziale continuava a persistere fino alla reale cessazione di ogni attività.

Il nuovo testo legislativo, l’art. 2495 c.c. secondo comma, prevede che “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”.

Venuta meno la società, le pretese patrimoniali si indirizzano ai soci, nei limiti in cui abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, ed ai liquidatori se abbiano colpevolmente distribuito somme o valori in realtà di pertinenza di creditori sociali. In questo senso la responsabilità patrimoniale dei soci verso i creditori sociali deve intendersi solidale.Questo al fine di garantire la miglior tutela dei creditori, la quale sarebbe pregiudicata dall’applicazione della responsabilità “pro quota“.

Il testo dell’art. 2495 comma 2 c.c. con la proposizione “ferma restando l’estinzione della società“, precisa la volontà del legislatore di stabilire che la cancellazione della società dal Registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della stessa società. Tale volontà è confermata dalla previsione che i creditori insoddisfatti possono, entro un anno dalla cancellazione, notificare presso l’ultima sede della società la domanda proposta nei confronti di soci e liquidatori.

Tuttavia, l’articolo 2495 c.c., nel rispetto del principio dell’autonomia patrimoniale perfetta e della conseguente responsabilità limitata dei soci delle società di capitali, circoscrive i confini entro i quali i creditori sociali possono agire e rivalersi sui singoli soci: solamente, infatti, ‘fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione’. Nel caso in cui, invece, il mancato pagamento dei debiti sociali dipenda dalla gestione del liquidatore, la giurisprudenza ha chiarito che i creditori sociali dovranno agire nei confronti di quest’ultimo, non potendosi ravvisare, dunque, la responsabilità dei singoli soci.

Alla luce del pregresso dibattito, attraverso le sentenze n. 4060, 4061 e 4062 del 2010, la Corte di Cassazione, in seduta plenaria, ha riconosciuto efficacia costitutiva alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese, per questo motivo la società deve ritenersi estinta anche in presenza di crediti rimasti insoddisfatti e di rapporti giuridici pendenti; conseguentemente gli atti impositivi notificati alla società estinta devono essere considerati inesistenti e privi di ogni effetto giuridico. In questo quadro si è inserito l’art. 28 quarto comma del D.lgs. N. 175 del 2014, il quale ha stabilito che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”.

Da ultimo con la sentenza del 22 giugno 2017, n. 15474 la prima Sezione della Suprema Corte ribadisce il principio per cui gli ex soci subentrano alla società estinta soltanto nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, per il che l’accertamento dell’esistenza di un attivo distribuito si configura quale necessario presupposto per l’assunzione della qualità di successori in capo agli ex soci e della conseguente legittimazione passiva per l’eventuale condanna.

Il socio diventa successore della società estinta soltanto ove, ex art. 2495, co. 2, c.c., abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.

Secondo i Supremi Giudici, i creditori debbono fornire la relativa prova, atteso che “E’ evidente che la percezione della quota dell’attivo sociale assurga a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicché, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio”.

Per quanto riguarda invece l’eventuale responsabilità dei soci per i debiti tributari, si deve evidenziare che il comma terzo dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, dispone che essi rispondono nei limiti di quanto ricevuto, in danaro o in altri beni sociali, nel corso degli ultimi due periodi d’imposta, precedenti alla messa in liquidazione della società. L’amministrazione finanziaria è infatti legittimata ad agire in via sussidiaria nei confronti di questi ultimi, solo pro quota e proporzionalmente a quanto ricevuto, sicché anche la responsabilità dei soci per le obbligazioni tributarie non assolte, è da ritenersi limitata alla parte ricevuta da ciascun socio nella distribuzione dell’attivo.

[1]Sul punto si veda: Cass. Civ., n. 12553/2004; Cass. Civ., n. 11021/1999; Cass. Civ., n. 5233/1999.

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Decreto Dignità – Aspettando il testo definitivo

Lunedì sera il governo ha approvato il cosiddetto “decreto dignità”, un decreto legge che contiene una serie di interventi in particolare sul lavoro. Per rendere il provvedimento operativo è necessaria la firma del Presidente della Repubblica e il vaglio del Parlamento per le modifiche e l’approvazione definitiva. Le novità principali in materia di lavoro riguardano i contratti a tempo determinato ed il costo del licenziamento.

In merito al contratto a tempo determinato, il decreto ne diminuisce la durata massima da 36 a 24 mesi e rimette l’obbligo di fornire la causale e le ragioni se il contratto a termine supera i 12 mesi. Inoltre, il numero di proroghe ammesse si riduce da cinque a quattro.

Il decreto alza, anche, il costo del licenziamento, aumentando del 50 per cento l’indennizzo minimo e quello massimo per chi viene licenziato senza giusta causa.

Secondo il “Sole 24 Ore” del 4 luglio, gli industriali ritengono che tale decreto innesterà “una retromarcia” con il risultato di avere meno lavoro e non meno precarietà. Tali preoccupazioni accomunano anche commercianti, esercenti ed artigiani.