A cura dell’avv. Marco Masante
La riforma del diritto societario, attuata dal D. Lgs. n. 6 del 2003, è intervenuta anche sulla normativa relativa all’estinzione delle società di capitali. Il legislatore ha quindi introdotto l’art 2495 c.c., in sostituzione dell’art. 2496 c.c., causando però nel corso degli anni numerosi dibattiti sul tema.
Prima dell’entrata in vigore della riforma, l’art. 2456 secondo comma c.c. prevedeva che a seguito della cancellazione di una società dal Registro delle imprese i creditori sociali non soddisfatti potessero “far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento(…)” fosse “(…) dipeso da colpa di questi”.
La giurisprudenza maggioritaria attribuiva all’atto formale di cancellazione efficacia meramente “dichiarativa di pubblicità”, con la conseguenza che l’eventuale sussistenza di rapporti giuridici, nonché la pendenza di controversie giudiziali con i terzi, ne precludesse l’estinzione[1]; inoltre la capacità giuridica processuale e sostanziale continuava a persistere fino alla reale cessazione di ogni attività.
Il nuovo testo legislativo, l’art. 2495 c.c. secondo comma, prevede che “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”.
Venuta meno la società, le pretese patrimoniali si indirizzano ai soci, nei limiti in cui abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, ed ai liquidatori se abbiano colpevolmente distribuito somme o valori in realtà di pertinenza di creditori sociali. In questo senso la responsabilità patrimoniale dei soci verso i creditori sociali deve intendersi solidale.Questo al fine di garantire la miglior tutela dei creditori, la quale sarebbe pregiudicata dall’applicazione della responsabilità “pro quota“.
Il testo dell’art. 2495 comma 2 c.c. con la proposizione “ferma restando l’estinzione della società“, precisa la volontà del legislatore di stabilire che la cancellazione della società dal Registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della stessa società. Tale volontà è confermata dalla previsione che i creditori insoddisfatti possono, entro un anno dalla cancellazione, notificare presso l’ultima sede della società la domanda proposta nei confronti di soci e liquidatori.
Tuttavia, l’articolo 2495 c.c., nel rispetto del principio dell’autonomia patrimoniale perfetta e della conseguente responsabilità limitata dei soci delle società di capitali, circoscrive i confini entro i quali i creditori sociali possono agire e rivalersi sui singoli soci: solamente, infatti, ‘fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione’. Nel caso in cui, invece, il mancato pagamento dei debiti sociali dipenda dalla gestione del liquidatore, la giurisprudenza ha chiarito che i creditori sociali dovranno agire nei confronti di quest’ultimo, non potendosi ravvisare, dunque, la responsabilità dei singoli soci.
Alla luce del pregresso dibattito, attraverso le sentenze n. 4060, 4061 e 4062 del 2010, la Corte di Cassazione, in seduta plenaria, ha riconosciuto efficacia costitutiva alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese, per questo motivo la società deve ritenersi estinta anche in presenza di crediti rimasti insoddisfatti e di rapporti giuridici pendenti; conseguentemente gli atti impositivi notificati alla società estinta devono essere considerati inesistenti e privi di ogni effetto giuridico. In questo quadro si è inserito l’art. 28 quarto comma del D.lgs. N. 175 del 2014, il quale ha stabilito che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”.
Da ultimo con la sentenza del 22 giugno 2017, n. 15474 la prima Sezione della Suprema Corte ribadisce il principio per cui gli ex soci subentrano alla società estinta soltanto nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, per il che l’accertamento dell’esistenza di un attivo distribuito si configura quale necessario presupposto per l’assunzione della qualità di successori in capo agli ex soci e della conseguente legittimazione passiva per l’eventuale condanna.
Il socio diventa successore della società estinta soltanto ove, ex art. 2495, co. 2, c.c., abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
Secondo i Supremi Giudici, i creditori debbono fornire la relativa prova, atteso che “E’ evidente che la percezione della quota dell’attivo sociale assurga a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicché, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio”.
Per quanto riguarda invece l’eventuale responsabilità dei soci per i debiti tributari, si deve evidenziare che il comma terzo dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, dispone che essi rispondono nei limiti di quanto ricevuto, in danaro o in altri beni sociali, nel corso degli ultimi due periodi d’imposta, precedenti alla messa in liquidazione della società. L’amministrazione finanziaria è infatti legittimata ad agire in via sussidiaria nei confronti di questi ultimi, solo pro quota e proporzionalmente a quanto ricevuto, sicché anche la responsabilità dei soci per le obbligazioni tributarie non assolte, è da ritenersi limitata alla parte ricevuta da ciascun socio nella distribuzione dell’attivo.
[1]Sul punto si veda: Cass. Civ., n. 12553/2004; Cass. Civ., n. 11021/1999; Cass. Civ., n. 5233/1999.